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a me sembrerebbe il luogo adatto per riflettere in tranquillità ?!

domenica 11 maggio 2008

Una poesia

Avevo un fratello aviatore.
Un giorno, la cartolina.
Fece i bagagli e via,
lungo la rotta del sud.

Mio fratello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno di spazio.
E prendersi terre su terre,
da noi, è un vecchio sogno.

E lo spazio che s'è conquistato
è sui monti del Guadarrama.
E' di lunghezza un metro e ottanta,
uno e cinquanta di profondità.

B. Brecht

E ancora pensiamo che la guerra possa portare a conquistare davvero qualcosa.

lunedì 28 aprile 2008

Compito 8: Conferenza "I have a dream"

La conferenza del prof. De Bernard è stata molto interessante e ha messo in evidenza molti aspetti importanti sul rapporto fra docente e discente.

Mi ha colpito soprattutto un passaggio quando cioè ha affermato l’importanza dell’intensità emozionale del rapporto discente – docente e su come il primo debba sentirsi trascinato dal docente, che fa così amare i concetti esposti rendendoli più facili da ricordare dato che (citando dal testo dell’intervento) “ricordiamo meglio quello che abbiamo amato, non quello che ci è stato somministrato”.

Sono stato colpito da tale riferimento perché è la prima volta che mi capita di sentire tale affermazione in relazione a problematiche sull’insegnamento. Devo aggiungere però che quelle volte (non sempre) in cui si realizza questa “intensità emozionale” i risultati sono davvero migliori.

Probabilmente per il docente stesso non è facile riuscire in ciò, sarebbe di sicuro più semplice limitarsi ad enunciare i principi della sua materia, magari anche con notevole precisione. Il problema sta nel fatto che bisogna formare ed educare e non riempire delle teste: vale sempre il fatto che è meglio una testa “ben fatta” che una testa “ben piena”.

L’intensità emozionale che può scaturire dall’incontro tra il docente e il discente può, secondo me, divenire poi anche uno stimolo per ripresentare tale intensità nel futuro incontro con il paziente.
Forse il problema dei giovani medici senza “empatia” può in parte essere dovuto all’incontro con docenti che, con il loro insegnamento freddo e distaccato, non hanno fatto scattare quell’amore per la loro disciplina.

E l’amore per una disciplina quale la medicina non può non riflettersi in un rapporto più umano verso il paziente.

sabato 26 aprile 2008

Compito 5: La matematica e il contesto

La matematica è la materia che dà più problemi agli studenti. Mi chiedo il motivo, forse perché è difficile e magari oggettivamente lo è, e richiede uno studio continuo, progressivo o per altro. Il problema allora sarebbe solo legato allo scarso impegno dello studente.

Ritengo però che la motivazione sia anche ad un livello diverso, che coinvolge l’insegnamento e soprattutto il modo con cui fa percepire la materia. Non avendo titoli per giudicare i metodi didattici, cerco solo di proporre delle personalissime impressioni.

Il problema centrale riguarda l’incapacità di riuscire a far percepire la matematica come un linguaggio fondamentale nell’ambito scientifico. Insomma, sarebbe utile farlo sentire importante come ogni altra lingua con la quale comunichiamo, facendo così intuire il dramma che una sua scomparsa produrrebbe per una comunicazione costruttiva nei campi implicati.

Quindi la matematica come linguaggio.

Per molti aspetti la matematica realizza alcuni elementi fondamentali della comunicazione, fra cui la rigorosità cioè la mancanza di ambiguità. Il linguaggio matematico aspira, tende a questo. Dai suoi assiomi, mediante ragionamento logico fa discendere teoremi dai quali altri sono dimostrabili e così via. Un meccanismo eccellente. Quasi semplice. Evidente. Intendo dire, un metodo così chiaro, razionale non si presto meglio alla comprensione? Sicuramente, ho molto semplificato e non nego la difficoltà di comprendere magari taluni passaggi in certe dimostrazioni. Vorrei solo riflettere sulla semplicità ( mai banalità ma ricerca di chiarezza e rigore) del ragionamento matematico. È la naturale professione dell’uomo, riflettere e ragionare. La matematica, mi sembra, un po’ come innata in noi, le sue idee, le sue strutture logiche sono insite in ciascuno di noi al di là dello studio. Quante volte diciamo, data la tal cosa … allora …, in matematica analogamente diremo dato che “ due triangoli hanno ordinatamente due lati e l’angolo compreso congruenti” allora “sono congruenti”. Al posto dei puntini ciascuno metta ciò che vuole, quello che conta è la logica di fondo. Gli esempi sarebbero molti . Chi dice di detestare la matematica, in fondo ne fa uso continuamente soprattutto nella sua logicità.

Forse se l’insegnamento mostrasse quanto l’astratta matematica sia continuamente usata i risultati sarebbero diversi.

A questo punto andiamo al problema del contesto. Punto cruciale soprattutto per la matematica, visto che spesso è considerata totalmente scissa da ogni rapporto con il mondo reale. Gli integrali, le derivate… appaiono solo utili per prendere un buon voto, divenendo quindi banale cumulo di regole da imparare inevitabilmente a memoria.
Non si apprende quindi la matematica come linguaggio, strumento di razionalità.

Il problema sta qui, a mio avviso. O la scuola fa percepire la matematica come un linguaggio universale della ragione o continueremo ad imparare regole a memoria che poi dimenticheremo. La matematica va saputa contestualizzare nel mondo reale, nelle sue applicazioni fisiche e in ogni campo delle scienza, nell’industria e via dicendo. Forse sarebbero utili dei principi di storia della matematica tanto per avere l’idea dell’evoluzione del pensiero matematico, contestualizzato nella storia.

Cosa diventa quindi una formula? L’espressione storica di un pensiero scientifico, potente strumento di linguaggio e di comprensione.

Contestualizzata la matematica guadagnerebbe molto; tutti gli specifici elementi acquisirebbero una loro chiara collocazione, anche pratica.

Vorrei tornare un attimo su quanto prima detto sulla matematica come innata, ed affermare che forse per trovarle un contesto basterebbe fissarsi un momento mentre riflettiamo e scoprire magari di usare quel tale ragionamento che applicato al teorema di geometria appariva tanto lontano.

Probabilmente il compito giunge in ritardo ma come è stato fatto notare una riflessione su tale argomento poteva essere utile.

mercoledì 16 aprile 2008

La delusione del voto

La delusione dopo il voto è grande. Ancora una volta l'Italia mi ha dato la sensazione di un Paese incapace di cambiare, di svegliarsi per una volta e di non ritornare sempre indietro, alle solite persone, ormai note nelle loro idee e nelle loro linee politiche. Ora cosa dobbiamo aspettarci, cosa sarà attaccato per primo, forse la scuola? In autobus ho sentito una ragazza che diceva che nei due giorni dopo il voto si sentiva "stanca" come se non avesse voglia di fare altro. Forse è un pò la sensazione di tanti italiani (almeno di quelli che non hanno votato Berlusconi), di chi, come me forse un pò ingenuamente, attendeva il voto come una possibilità per cambiare davvero qualcosa in Italia. E invece siamo come prima, possibile che non lo si sia ancora capito? Nelle mani di chi siamo andati a finire (ancora una volta)? Spero (ma ne sono poco convinto) che il governo possa comunque fare qualcosa di buono per il Paese.
Ma la mia delusione rimane. E poi c'è Bossi, ma come si può votare uno che si esprime in quel modo, che sembra voler infiammare ogni volta odio fra gli italiani. Forse (e sicuramente) a qualcuno piacerà, non a me, ma probabilmente ce lo meritiamo, comunque è stato voluto. Quello che lui dice, tanti altri ritengono che sia giusto (altrimenti non avrebbe avuto un così largo consenso) e questo mi preoccupa. L'Italia ha forse paura di cambiare?
Sul tema del voto ho letto un articolo molto interessante di don Paolo Farinella che usa parole dure contro il nuovo governo prospettando un futuro non roseo. Il testo è "Ha vinto la feccia note a margine alle elezioni in un non -Paese".
Per concludere volevo proporre anche un ultimo articolo in cui si mette in evidenza il tanto marcio (in tutti gli schieramenti) della politica. Sinceramente alcune cose riguardo al futuro primo ministro e al suo alleato Bossi, mi fanno pensare a come sia possibile farsi governare da loro. L'articolo è "Fedine penali, la carica dei 101" di Peter Gomez e Marco Travaglio.

lunedì 14 aprile 2008

Dal seminario... allo studio

Il seminario ha lasciato tante cose da dire. In particolare, oltre a tanti messaggi, uno può essere sentito come direttamente lanciato allo studente di medicina. L’importanza, cioè di ricordarsi quanto sia importante l’approccio con la persona umana e di come quest’ultima sia centrale in quello che si andrà a fare. Questo ultimo elemento può sembrare ovvio, ma ammetto che a volte viene perso di vista (magari perché siamo solo all’inizio) rispetto allo studio delle varie altre materie (sicuramente di grande importanza) per poi (presto o tardi)magari tornare rapidamente all’attenzione.

Semplicemente quello che cerco di dire è come l’esperienza che ci è stata portata dai clown manifesta non solo il valore di come sia fondamentale guardare all’uomo da curare con occhio amico e con vicinanza alla sua situazione, ma forse e soprattutto (almeno per me) semplicemente il fatto che colui che si andrà a curare sarà un uomo, un bambino con suoi sentimenti.

Ecco perché l’esperienza che ci è stata proposta sa anche trasmettere con grande forza una passione tutta particolare per lo studio che è stato intrapreso, ne fa intravedere un po’ la bellezza ma anche la difficoltà nel rapporto con le altre persone. Non è facile trattare con chi è malato.

Insomma il seminario mi ha fatto vedere l’importanza della centralità del malato. Forse studiare con tale elemento ben chiaro fin dall’inizio può essere un buon aiuto e una buona spinta.

sabato 12 aprile 2008

Dal seminario... allo stupore

L’attitudine allo stupore. Al seminario è stato fatto tale richiamo circa l’importanza dello stupore . Il richiamo mi ha colpito, spingendomi a riflettere sul significato di tutto ciò e maggiormente sull’importanza dello stupore nella nostra vita e non solo. Lo stupore, mi pare, un aspetto come innato nell’ uomo, un qualcosa che (forse) non si può insegnare ma coltivare per quello che ciascuno può.

Elemento di impulsività irrazionale diviene sostegno della ragione nella sua ricerca, o forse meglio rappresenta il punto di avvio dell’indagine razionale. Senza di questo, forse, lo sforzo della sola ragione non produrrebbe grandi risultati. O magari sì ma con difficoltà maggiori. La produzione della conoscenza è un qualcosa di razionale, ma l’elemento irrazionale probabilmente è importante, dando alla ragione una forza maggiore e soprattutto la capacità di sapersi rinnovare e l’attitudine alla novità. Sarebbe errato attribuire alla sola ragione il merito di tante scoperte dell’umanità, significherebbe tralasciare tutte quelle volte in cui il “caso” ha segnato un momento importante. Al caso , magari, fa poi seguito lo stupore che fa intuire la novità alla quale la ragione darà sostanza.

Probabilmente una certa parte nell’ evoluzione della filosofia e della scienza la ha avuta anche lo stupore di uomini che hanno avuto il coraggio di sondare terreni nuovi, perchè stupirsi è il contrario di quella chiusura mentale che blocca ogni cosa, la raffredda infatti, -‘ Stupirsi'delle cose è tenere sgranati gli occhi sul reale e vedere le cose come per la prima volta, nel miracolo del loro esserci e della loro forma - (Heidegger). Un continuo mettersi in gioco, vedere le cose note ma da punti di vista nuovi, è quindi fonte di conoscenza.

Non a caso i filosofi antichi stessi parlano dello stupore e della meraviglia trattando del sorgere della filosofia.
Platone, nel dialogo tra Teeteto e Socrate si richiama a questo stupore originario: “[Teeteto] - In verità, o Socrate, io sono straordinariamente meravigliato di quel che siano queste «apparenze»; e talora se mi fisso a guardarle, realmente, ho le vertigini. [Socrate] - Amico mio, non mi pare che Teodoro abbia giudicato male della tua natura. Ed è proprio del filosofo questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia: né altro inizio ha il filosofare che questo: e chi disse che Iride fu generata da Tarmante, non sbagliò, mi sembra nella genealogia” (Platone).

Lo stupore apre quindi alla conoscenza schiudendo il desiderio di capire che nasce di fronte a ciò che ancora non si conosce. Precede la razionalità e la sostiene.

Anche la scienza, nella sua ricerca è sostenuta dallo stupore che permette l’avanzamento, il cambiamento, che sa cogliere gli aspetti nuovi della natura, Einstein diceva che chi non prova stupore è come se fosse cieco.

Dopo questo breve discorso, sicuramente superficiale mi piacerebbe introdurre, rapidamente un discorso sulla scuola. Se lo stupore è così importante come molla del desiderio di conoscere allora proprio nella scuola dovrebbe essere primariamente vissuto. Sinceramente, tranne qualche volta, a scuola non mi sono molto “stupito”. Si dà magari più importanza alla conoscenza, spesso solo superficiale di qualche nozione, piuttosto che far entrare nell’animo dei ragazzi l’attitudine allo stupore. Ma mi pongo di nuovo la stessa domanda, si può insegnare le persone a stupirsi?

Infine, volevo concludere con un ultimo elemento. Lo stupore è un tema comune a tanti aspetti dell’uomo, dalla filosofia alla scienza e anche alla religione. Quest’ultima suscita lo stupore dell’uomo di fronte alle sue domande perenni(un po’ come la filosofia ma in un modo molto diverso), lo sottrae da una vuota superstiziosità, da un banale cumulo di regole. “Chi si sottrae allo stupore dell’avvenimento, e all’attenzione, alla venerazione, alla curiosità rispettosa e umile che l’avvenimento istintivamente suscita, diventa schiavo di regole. Chi tenta di sottrarsi all’avvenimento si fa inevitabilmente schiavo di regole” (Luigi Giussani).

giovedì 10 aprile 2008

Compito 6: Impressioni sul seminario

“ E’ stato bello” riassume le prime impressioni del seminario. Riflettendo mi accorgo che oltre al divertimento, un messaggio più profondo è passato. Non vorrei esagerare , rischiando di diventare pesante parlando di “messaggio profondo” ma, personalmente (posso sbagliarmi) ritengo che sia stato un momento, un pretesto per considerare molti aspetti, soprattutto sul valore di fare il medico.

Secondo me, il senso essenziale è espresso da tre parole: partecipazione, condivisione, stupore. Elementi legati , il mancare di uno fa perdere senso all’altro, lo impoverisce banalizzandolo. Infatti “partecipare” o è semplice presenza o è qualcosa di più costruttivo, impegnativo, mettersi in gioco con altri così come siamo, diventando così “condivisione”, che senza “stupore” non si rinnova, non si rafforza come una onda che si auto – alimenta. Senza stupore, la condivisione non arricchisce, fa rimanere uguali, stupirsi evita la banale acquisizione delle cose, evita la chiusura mentale che raffredda.

Condivisione, partecipazione, stupore sono aspetti dell’ “I care” di don Milani, espressione dell’interesse verso gli altri, del sentirsi responsabili, condizione fondamentale per l’ascolto (se me ne frego di tutti, non ascolto di certo nessuno), quindi della conoscenza.

“I care”, oggi risuona poco volte nella vita della gente a ogni livelli, ognuno guarda al suo. Non è una critica, perché nessuno è migliore degli altri, ma una constatazione di quello che tutti viviamo.

“I care”, “stupore”, “condivisione” e altro venuto fuori quel giorno, fanno scaturire l’immagine di un medico diverso, forse semplicemente normale, umano. Un medico che rifiuta il piedistallo , parla col suo paziente, lo chiama per nome ,non si fa prendere dalla routine di un mestiere che forse è un po’ diverso. Di fronte alla persona malata conta più un saluto, un sorriso, una parola semplice . Bisogna richiamarsi a quell’umanità personale che tutti abbiamo ma che spesso nascondiamo.

Infine la dimostrazione di tutto, l’esperienza dei clown, momento di condivisione di un’esperienza accompagnato dallo stupore da cui potrà nascere partecipazione attiva. Chi meglio di loro potrebbe spiegare l’importanza del sorriso in ospedale. Chi studia l’aspetto scientifico della medicina completandolo con simili esperienze, probabilmente saprà un giorno fare il medico un po’ meglio. La medicina non cura tutto, forse mai lo farà, ma un briciolo di calore umano, di “I care” medico dà risultati sempre positivi perché cura la persona e non la malattia. Questo è un ricordo (mi pare) del film Patch Adams. Chi cura la malattia vince o perde ma chi cura la persona vince sempre.

Ho forse esagerato con le parole (un po’ tante) ma era forse necessario, almeno per me.